giovedì 2 aprile 2009

Prima la vita del lavoro


Prima la vita…del lavoro

E' vero, il lavoro nobilita l'uomo, ma questo non significa che centinaia di migliaia di dipendenti l'anno debbano immolarsi in nome di un valore che a loro non mette in tasca niente: il risparmio dei loro superiori. I fondi per la sicurezza dei lavoratori, infatti, costituiscono per le aziende un costo oneroso che spesso queste preferiscono sostenere solo in parte o non sostenere per nulla.
Dati storici dimostrano che dalla seconda metà del diciottesimo secolo, in seguito alla crescente meccanizzazione dell'industria, il problema degli incidenti sul lavoro aveva assunto dimensioni fino allora sconosciute.
Così, in Italia, dopo un primo tentativo d'assicurazione volontaria promessa a carico degli stessi lavoratori e completamente fallita per la scarsissima adesione degli interessati (preoccupati di dover rinunciare ad una parte del salario), nel 1898 lo Stato intervenne con la prima legge di tutela per la sicurezza sul lavoro.
Giolitti varò una riforma che prevedeva un'assicurazione parzialmente a carico dei datori di lavoro.
L'evoluzione legislativa successiva, in considerazione del miglioramento delle condizioni
d' assicurazione, sul versante sia dei premi sia delle prestazioni, portò all'istituzione della Cassa nazionale infortuni che, nel 1933 diventò INAIL. Lo stesso anno nasceva l'INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale).
Già precedentemente, nel 1917, fu introdotto il criterio dell'automaticità dell'assicurazione sociale antinfortunistica.
Questo susseguirsi di riforme sociali permise finalmente il miglioramento delle condizioni dei lavoratori italiani. Purtroppo però il tasso d'incidenti rimaneva ancora molto elevato e in particolare l'Italia manteneva il primato rispetto al resto d'Europa.
Nel periodo tra il 1995 e il 2004 c'è stata una riduzione del 25,4% degli incidenti. Invece nel resto d'Europa la flessione è stata di quasi il 30 %. Secondo il rapporto ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro) oltre mille persone l'anno subiscono danni fisici sul luogo d'impiego. Ma questa stima comprende esclusivamente i casi denunciati e quindi riguardanti solo il lavoro regolare, infatti, si valuta che si verifichino 200000 infortuni che poi non sono regolarmente segnalati.



Tra il 2003 e il 2005 hanno avuto luogo poco meno di 4,5 morti al giorno.In quel periodo circa quattro persone, ogni giorno, si sono svegliate, alcune di loro hanno salutato la famiglia, sono uscite da casa per non farvi più ritorno. La stampa non ne parla compiutamente, spesso chiude gli occhi davanti a questi orrori del XXI secolo; spesso si può parlare addirittura di censura mediatica perché queste morti fanno scandalo, non danno una buona immagine del paese o infine…non fanno notizia.
Sono cifre da guerra: una guerra che molti di noi combattono ogni giorno per portare a casa"la pagnotta". Padroni incuranti del fatto che ogni vita, anche quella dei più umili, di quelli che sono obbligati a lavorare in condizioni pessime per sopravvivere, ha dignità e va difesa. E necessario ricordarsi di queste persone e anche di quelle per le quali non è stata spesa una parola:i morti nascosti che non hanno nemmeno avuto la possibilità di essere ricordati come vittime di un sistema opulento.Vittime che non possono più parlare, ammutolite da un destino ingiusto, voluto dall'uomo.
Un caso recente che ha particolarmente smosso la stampa è quello avvenuto il 6 dicembre 2007 alla "Thyssen Krupp" di Torino, in cui sette uomini hanno perso la vita a causa di un rogo, che non hanno potuto estinguere per la mancanza di misure precauzionali.Alcuni dirigenti dell'azienda sono stati condannati per omissione delle cautele antinfortunistiche e per omicidio colposo.
Un fatto clamoroso, quello della Thyssen, come molti altri: Marcinelle in Belgio dove, l’8 agosto del 1956, un incendio, scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile di Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità. 136 minatori erano italiani. Rimasero senza via di scampo, soffocati dall'ossido di carbonio e braccati dalle fiamme. Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto, quando uno dei soccorritori diede l’annuncio, in italiano: "Tutti cadaveri".Nella fabbrica Triangle di New York, nel 1911, persero la vita 148 persone, perlopiù donne.
Alla problematica relativa agli infortuni sul lavoro, si collega il concetto di igiene e sicurezza sul posto di lavoro, cioè l'insieme delle norme che impongono al datore di lavoro di adottare le misure che, secondo il tipo d'impresa, di lavoro svolto e secondo l'esperienza e la tecnica sono necessarie a predisporre un ambiente idoneo, tale da consentire al lavoratore l'adempimento della prestazione senza danni per la salute e l'integrità fisica.Troppo spesso l'ambiente lavorativo non è idoneo: mancano, ad esempio, misure precauzionali o si fa uso addirittura di materiali nocivi. Emblematico è il caso dell'amianto; questo materiale, per le sue proprietà di termodispersione e fonoassorbenza, è stato utilizzato in grandi quantità per molti anni. C'è un luogo in Piemonte, dove, agli inizi del Novecento, l'amianto è stato accolto come fattore di crescita economica, ma è in questa città che, per l'amianto, oggi, si continua a morire.Quasi esclusivamente questo materiale è ritenuto colpevole di un tumore, il mesotelioma, dovuto appunto all'inalazione e/o ingestione di sue fibre.La città è Casale di Monferrato; qui, tra il 1906 e il 1907 venne fondata la fabbrica "Eternit", successivamente ricordata con il nome "la fabbrica del cancro".Qui vennero fabbricati componenti per l'edilizia tra cui tubi in fibrocemento(cemento e amianto) per costruire o ripristinare acquedotti.Per anni consulenti scientifici dell' azienda, sia a livello nazionale che internazionale, avevano messo in dubbio che la situazione epidemiologica venutasi a creare in seguito all'apertura della fabbrica, avesse come causa proprio l' utilizzo dell'amianto.Oggi si sa con assoluta certezza che quell'orribile morte per soffocamento che ha ucciso migliaia di persone in Italia è dovuta all'inalazione prolungata di amianto.
Le intossicazioni da amianto avvennero in particolare nei cantieri navali e nelle zone limitrofe perché è proprio in questo campo industriale che se ne faceva più uso. Per questo motivo le zone più colpite sono quelle portuali: in Liguria, in particolare in provincia di La Spezia,in Toscana,in particolare a Massa Carrara e a Livorno e in Puglia,in particolare a Taranto.
E assolutamente necessario perciò che la società si mobiliti in maniera concreta, che mass media e istituzioni si occupino realmente di questa piaga che affligge la nostra nazione per dare priorità, finalmente, alla sicurezza di ogni cittadino.
Forse è il caso di dire: vai a lavoro ma quando sei lì ora dum labora (prega mentre lavori).


Maria Cereghino

Video consigliati:
http://www.youtube.com/watch?v=fiGdePe6HZY
http://www.youtube.com/watch?v=njG7p6CSbCU

Fonti:
www.inail.it
www.italianiimbecilli.it
il GENIO in MUSICA:
gente che fece del proprio handicap la chiave di violino della vita

Il termine inglese "handicap", è traducibile in italiano come "svantaggio", "menomazione" o "impedimento"; questa è una semplice parola che ha, però, enormi ripercussioni sul nostro modo di pensare e di agire. Le persone "sane" tendono ad arretrare se si trovano dinnanzi ad un individuo con problematiche di questo genere, che comportino, appunto, impedimenti nella vita sociale, siano essi fisici o mentali; le persone "sane" tendono ad imbarazzarsi nell'entrarci in contatto, a cambiare il loro comune comportamento, mutandolo verso toni di voce ed azioni più gentili, pacati ma, al contempo, mantenendo una sorta di distacco per timore di istaurarvi un rapporto che possa andare oltre al "Grazie dell'informazione e arrivederLa". La verità è che le persone "sane" sono spaventate da quello che vedono in coloro che non sono simili a loro stesse, da coloro che vivono a testa alta nonostante i disagi che subiscono a causa di Madre Natura; da coloro che gli ricordano quanto crudeli siano nel non apprezzare la propria vita "sana", lamentandosene. Le persone "sane" tendono così a provare una sorta di pena verso questi "sfortunati", e, per paradosso, ad aumentarne così la discriminazione. Trattarli in modo diverso è un modo per farli sentire ancora più diversi.
Ma il termine "Handicap" è realmente sinonimo solo di "sfortuna"? Non è, invece, possibile che questa idea radicata nel senso comune si possa convertire in una differente interpretazione, simile all' "Handicap" sinonimo di "Genialità"?
A voi una libera risposta alla fine, a me l'onore e l'onere di farvici ragionare.
Prendiamo l'esempio della musica, e procediamo, passo passo, per epoche e generi.

La musica Classica

Ludwing Van Beethoven fu battezzato a Bonn il 17 dicembre del 1770 da una famiglia originaria del Belgio, il maggiore di tre fratelli sopravvissuti alla morte di altri quattro. Il padre cercò in loro il genio della musica e lo trovò in Ludwing che, all'età di otto anni, tenne la sua prima esibizione pubblica a Colonia. La sua carriera iniziò ad appena dodici anni e, da quel momento in poi, la sua vita fu tutto un susseguirsi di studi, e viaggi, e tournee; un carattere impulsivo ed eccessivo da tenere a freno, il dovere morale di sostituire il padre, troppo spesso ubriaco, nel ruolo di "capo famiglia", sia finanziariamente che moralmente verso i due fratelli più piccoli; la morte della madre nel 1787, unica persona con cui era stato in grado di costruire un rapporto di sincero affetto e, successivamente, nel 1815 quella del fratello ed il conseguente doversi far carico dell'educazione del giovane nipote (per il quale dovette affrontare diversi problemi giudiziari per ottenerne la nomina di tutore) e, a tutto questo, bisogna aggiungere l'essere afflitto da disfunzioni fisiche quali problemi alla vista, all'intestino, terribili mal di testa, una vita sregolata tipica degli artisti, e, soprattutto, la comparsa del suo handicap.
Ludwing Van Beethoven, all'età di appena ventisette anni, venne infettato dal germe della sordità che interessò prima l'orecchio sinistro e poi anche il destro. La perdita dell'udito fu progressiva fino a portarlo al silenzio più completo, la peggior sofferenza per chi ha passato un'intera vita a nutrirsi di musica e suoni. Il compositore tenne il suo dolore chiuso in sè per diversi anni, segreto suo e della sua sola anima, allontanandosi dalla vita sociale, vivendo in solitudine, temendo che qualcuno dei suoi nemici potesse scoprirlo, e burlarsene, soffrendo il timore del giudizio, il peso della diversità, e la tribulazione dovuta alla privazione dell'unica cosa che lo rasserenava: la melodia.
Ma Beethoven si fece forza; non si arrese, non prese la via "facile" della morte, del suicidio, un solo istante che avrebbe potuto liberarlo da quel corpo difettoso, quella mancanza di un fine; non smise di lottare, anzi, continuò con ancora più intensità fino a comporre alcune delle sue più famose sinfonie, come la "Quinta". Ma Beethoven la sua Quinta non l'ha mai sentita, come non sentì mai la famosissima "Per Elisa". A non ancora quarant'anni viveva nel suo mondo di silenzio, non percepiva più voci nè suoni, l'unico contatto che aveva col suo pianoforte era una sottile bacchetta di legno: un'estremità la teneva in bocca e l'altra la posava sulla cassa di risonanza dello strumento, interpretandone così le vibrazioni.
Nel 1824, al termine di un concerto, un cantante dovette prenderlo per le spalle e voltarlo verso il pubblico perché si rendesse conto che lo stavano applaudendo freneticamente, ma lui non se ne poteva accorgere.
Fu costretto ad abbandonare la carriera di concertista a soli 44 anni proprio per il suo handicap...ma se questo non ci fosse stato, Beethoven sarebbe diventato ciò che rappresenta oggi per il mondo? Se non avesse dovuto subire questo, appunto, Handicap, se avesse continuato ad ascoltare la musica, se avesse avuto dei sensi "sani" e funzionanti sarebbe riuscito a scrivere ciò che noi, a trecento anni di distanza, continuiamo a studiare? Tutto questo silenzio portò l'artista ad interiorizzare i suoni e a percepire la musica che portava dentro sè e che chissà se sarebbe venuta fuori con le interferenze del caos del mondo. Le note non gli giungevano sul pentagramma dalle orecchie, ma dal cuore, le stesse note che in noi, persone "sane", possono solo che fare il percorso inverso.
"Spesso maledico la mia esistenza -scrive a Wegeler-. Ma Plutarco mi ha insegnato la rassegnazione. Voglio, se possibile, sfidare il mio destino."


Il Jazz

Il Jazz è un genere musicale di origine statunitense, nato nei primi anni del XX secolo per la confluenza di tradizioni musicali africane ed europee. Caratteristiche peculiari di questo sono l'improvvisazione, la poliritmia e l'utilizzo di note swing, incorporando diversi generi della musica popolare americana, dal ragtime al blues, ponendo un forte accento sull'espressività e il virtuosismo strumentale, il cui nome deriva probabilmente dal termine francese "jaser" che significa "far rumore". Secondo Stephàn Grappelli è "Ciò che permette di evadere dalla quotidianità", secondo Gino Paoli "...l'unico genere musicale considerato da chi lo pratichi non un mezzo ma un fine, non un lasciapassare verso il successo e la ricchezza, ma un piacere a sè stante...".
Uno dei più grandi jazzisti degli anni Novanta fu indiscutibilmente il pianista francese Michel Petrucciani.
Nato nel 1962 ad Orange, in Francia, fu figlio di genitori italiani emigrati. Il padre, Antoine Petrucciani, rinomato chitarrista jazz, influenzò molto i gusti musicali del giovane figlio. Studiando fin dalla più tenera età la batteria ed il pianoforte, ebbe la sua prima esibizione pubblica all'età di tredici anni mentre la sua carrierà si può dire si avviò quando era appena quindicenne.
Le sue straordinarie doti musicali ed umane gli permisero di lavorare con musicisti dal calibro di Jim Hall, Eddie Gomez ed Dizzy Gillespie e di suonare dinnanzi al papa Giovanni Paolo II nel 1997, a Bologna.
Morì nel 1997 in seguito a complicazioni polmonari e fu sepolto nel celebre cimitero parigino di Père Lachaise.
Fin qui tutto bene, una comune persona "sana"...se non fosse che Michel Petrucciani era afflitto dalla nascita dall'osteogenesi imperfetta, malattia genetica detta anche "Sindrome delle ossa di cristallo". Questa crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi, delle orecchie, della cute, dei denti, deformazioni degli arti ed una manifesta fragilità delle ossa. Causa lo stop dell'altezza a 90 centimetri e del peso a circa 23 kg, indebolendo le ossa. Michel Petrucciani era la tipica persona dinnanzi a cui le persone "sane" avrebbero chinato gli occhi per timore di un contatto. Michel Petrucciani era così.


Per raggiungere i pedali del pianoforte doveva usare un marchingegno realizzato per lui dal padre, non poteva condurre una "sana" vita sociale, non poteva fare ciò che tutti fanno, bambini, ragazzi o adulti che siano, ma invece di rattristarsi ne era contento. Petrucciani considerava il suo disagio fisico come un vantaggio perché gli permise, in gioventù, di dedicarsi completamente alla musica, tralasciando ogni altra sorta di "distrazioni" ed impegni. Michel Petrucciani non "suonava"...lui metteva l'anima nella sua musica. Le sue note, contrariamente a quello che si può pensare vedendolo, sono inni alla gioia del mondo. In un'intervista disse che avrebbe voluto avere, oltre a tutto ciò che già lo affligeva, sei dita per mano per poter suonare ancora meglio. Di estrema modestia non voleva essere il leader di nessun gruppo nonostante le straordinarie doti. Diceva di amare il comporre musica da "ascoltare e sentire" , di voler descrivere in essa il suo modo di vedere la vita; asseriva che, ogni volta che suonava, vedeva colori diversi, ma non colori come quelli che possono usare dei pittori...erano colori che poteva vedere e percepire solo dentro sè, e sperava di poter trasmettere queste sue sensazioni anche a chi lo ascoltava. Contribuì ad aprire una fondazione in Francia per la scoperta di nuovi talenti, per dar loro un posto speciale in cui imparare e per offrire a chiunque la volesse l'opportunità di provarci, di mettersi alla prova proprio come fece lui, sfidando ogni sorta di pregiudizio del pubblico pagante e parlante.
Petrucciani fu un eroe nazionale in Francia, il presidente Jacques Chirac era uno dei suoi più celebri e convinti fan, considerandolo un "genio per tutti", lodandone la capacità di "dare sè stesso nella sua arte con la passione, con coraggio unito al suo genio musicale".
Michel Petrucciani, un uomo che, nell'incontrarlo per strada, ci avrebbe fatto chinare gli occhi ma che, nell'ascoltare la sua Musica, ce li fa alzare, sognanti, verso il cielo.


Il Rock

Uno dei maggiori esponenti della musica Rock della metà del Novecento fu certamente il cosiddetto "Re Lucertola", Jim Morrison. Nato a Melbourn l'8 dicembre del 1943 divenne il leader carismatico e frontman del gruppo "The Doors", esponente culturale della rivoluzione del sessantotto ed uno dei più grandi cantanti della storia.
A livello fisico Jim Morrison non necessitava di niente in più di ciò che già possedeva: bello come un dio greco, con tratti perfetti e movenze suadenti era l'idolo e sogno di ogni ragazza (ed in gran parte lo è ancora). A causa della professione del padre che aveva intrapreso la carriera militare nell'areonautica, la famiglia del Re Lucertola dovette subire innumerevoli trasferimenti nelle più disparate parti dell'America, impedendo così all'allora bambino il poter coltivare forme di amicizia sincera e duratura, sviluppando un carattere particolare, solitario, chiudendosi in un solo suo e particolare mondo ed amplificandolo dal 1947, anno in cui avvenne uno degli avvenimenti più importanti per la vita del cantante durante un viaggio con la famiglia nel New Mexico che lui descrisse così:
« La prima volta in cui ho scoperto la morte... io, mia madre, mio padre, mia nonna e mio nonno stavamo viaggiando in auto attraverso il deserto all'alba. Un camion carico di Indiani Navahos aveva sbattuto contro un'altra auto o qualcos'altro: c'erano Indiani insanguinati che stavano morendo sparsi per tutta la strada. Ero solo un bambino e per questo dovetti restare in macchina mentre mio padre e mio nonno scesero a guardare. Tutto ciò che vidi fu una divertente vernice rossa e della gente distesa attorno, ma sapevo cosa stava succedendo, perché riuscivo a sentire i fremiti delle persone intorno a me, e all'improvviso capii che loro non sapevano più di me cosa stava accadendo. Quella fu la prima volta che ebbi paura... ed ebbi la sensazione, in quel momento, che le anime di quegli Indiani morti - forse una o due di esse - stavano correndomi intorno, ed entravano nella mia anima, e io ero come una spugna, pronto a sedermi là e assorbirle »
Jim Morrison fu ossessionato per il resto della vita da questo evento. L'idea della morte prese a perseguitarlo ed a creare con lui un rapporto quasi morboso, portandolo a comporre canzoni e scrivere aforismi alla "vivi come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai"; ossessionato dalla cultura indiana, dalla figura del serpente, animale dalla forza smisurata in quanto sopravvive in un ambiente sfavorevole come il deserto si convinse che uno sciamano gli fosse entrato dentro ed avesse preso casa nel suo spirito. La sua vita, l'esperienza della droga come mezzo di elevazione così simile all'utilizzo del Peyote in alcune antiche tribù americane, le melodie, il sound delle proprie canzoni, i testi che lo fecero imporre non solo come cantante ma come poeta, con continui richiami alla mitologia, alle leggende, a miti ed ai rettili, tutte manie che contribuirono a renderlo una leggenda agli occhi dei posteri
"Un trascinatore naturale, un poeta
uno sciamano, C/l'
anima di un pagliaccio.
Che ci faccio
nell'Arena
dei Tori
Con tutti i personaggi pubblici
in corsa per il Comando
Spettatori alla Tromba
-scrutatori di sommosse
Paura degli Occhi
Assassino
Essere ubriachi è un buon travestimento-
Io bevo così
posso parlare con le teste di cazzo.
Me incluso."
E il conseguente sentirsi al di sopra del mondo, delle regole, del buon costume, il mantenere un comportamento per molti versi immorale, ignorando le norme, procurandosi varie denunce e spesso imbarazzando coloro che gli stavano vicini per le sue azioni. I suoi gesti plateali, i suoi versi irriverenti, i suoi richiami, censurati, al complesso di Edipo nella celebre "The End" adattata alla vita come a dire "ucciderò tutto ciò che è autorità, tutto ciò che è stato imposto come 'vita comune', non mi farò manovrare [la figura del padre], ritornerò alla purezza dell'inizio, a tutto ciò che ero prima di diventare un essere sociale [simbolo della figura materna]". Tutto ciò che lo riguarda fa pensare ad un Angelo Caduto, ad un uomo finito in questo mondo chissà per quale motivazione, un mondo a lui così poco affine da essere perseguitato dall'idea di cambiarlo.
"Vorrei che arrivasse una bufera
venisse & spazzasse via questa
merda. O una bomba che
bruciasse la Città & lucidasse
il mare. Vorrei che mi arrivasse
una morte pulita."
Uomo non comune con atteggiamenti da Dio, problemi con la legge, con le donne, con il mondo, con le droghe, con l'alcool, con la famiglia, al punto che arrivò ad asserire il falso durante un'intervista, dichiarando di essere orfano; problemi che, oramai, aveva reso parte integrante di sè.
"[...] Perdona a me Padre poiché io so
quello che faccio.
Io voglio ascoltare l'ultima Poesia
dell'ultimo Poeta."
Uomo che quasi si divertiva a creare disagio negli altri, a creare situazioni equivoche, a giocare per sperimentare reazioni. Uomo con un forte, fortissimo disagio esistenziale alle spalle, con un perenne e continuo scontro con la vita. Uomo non puramente pazzo, o almeno non a causa di una semplice e dichiarata malattia mentale, ma così fuori da ciò che è ordinario per i "sani" da apparirlo. Pazzo in quanto la normalità è determinata solo da una maggioranza statistica e quindi folle abbastanza da considerarsi "sano" per aver purificato quelle porte della percezione che invocava Blake, convinto così di poter vedere le cose immense quali esse sono realmente.
"[...]Enter again in the sweet forest
enter again in the hot dream
come with us!
Everything is broken up and dances [...]"


L'incatalogabile
Ray Charles Robinson nacque ad Albany il 23 settembre del 1930; fu musicista, pianista e cantante statunitense, considerato uno dei pionieri della musica Soul. Allevato dalla madre in un contesto economico del tutto sfavorevole assistette all'età di cinque anni, impotente, alla morte del fratello minore, George, annegato in una tinozza del bucato, evento che lo tormentò per l'intera vita. Nello stesso anno il giovane Ray iniziò ad avere problemi con la vista (probabilmente a causa di un glaucoma) che nel giro di due anni lo portarono alla completa cecità. Frequentò una scuola per sordi e ciechi, imparando il brail e, nel contempo, a suonare diversi strumenti musicali e comporre, restandovi fino al 1947, quando si trasferì a Seattle andando incontro al suo successo e mantenendo la promessa che fece alla madre; "nessuno riuscì mai a trattarlo come uno storpio". Ray non usava il bastone per camminare, ma le orecchie: suole dure per ascoltare il suono del pavimento e orientarsi. Ray si faceva accompagnare al pianoforte, ma quando lo suonava zittiva tutti. Ray pretendeva perfino belle donne e capiva che lo erano accarezzando loro il polso.
Come Michel Petrucciani, si impose contro mille pregiudizi: il suo handicap visivo ma anche il suo handicap epidermico, una pelle scura in un periodo di, purtroppo, ancor forte discriminazione da parte dei "sani" dalla pelle bianca; l'handicap della dipendenza da eroina e quello della sua musica, completamente nuova e, per questo, soggetta a pesanti critiche.
Raggiunto un sufficente grado di notoreità, infatti, lottò ancora di più, rifiutandosi persino di tenere un concerto nel suo stato natale, la Georgia, a causa, appunto, della segregazione in cui teneva gli afroamericani e venendone così bandito a vita fino al 7 Marzo del 1979, giorno in cui venne reintegrato con pubbliche scuse e la sua "Georgia on my mind" fu proclamata inno nazionale. Nell'arco della sua carriera vinse 13 Grammy nonostante, agli inizi, vennisse additato perché "suonava la musica del diavolo", perché usava il Gospel (la musica religiosa dell'amore per Dio) per cantare l'amore per una donna, l'amore per la vita. E Ray Charles fece questo per tutta la sua esistenza: cantò la vita fino alla sua morte, e lo fece sempre con la sua espressione gioiosa, il suo sorriso, la sua musica ed i suoi occhiali da sole, nonostante il perenne buio che vi si nascondeva dietro. Lo fece sempre con la sua ironia; leggenda o meno che sia, si dice che sia l'autore di una famosa battuta sul suo handicap: durante un'intervista, ad un cronista di un noto giornale razzista che gli domandava se il fatto di essere diventato cieco in tenera età gli avesse causato dei complessi di inferiorità, rispose: "Non mi lamento, poteva andarmi peggio. Pensi se fossi nato negro!".
Ray Charles mise da parte il suo handicap, il suo buio, per illuminare i vinili del mondo. Affrontando a testa alta le difficoltà ed accettando ciò che per molti sarebbe stato inaccettabile.
"Quando non si vede, si apprezzano meglio gli altri. A volte la tua vita viene toccata da persone meravigliose, che magari non hanno un aspetto meraviglioso, ma tu sei cieco e non lo sai. Quando mio figlio mi sale in grembo, sento solo che c'è qualcuno che mi ama e anch'io lo amo. Se vedessi, potrei vedere lo sporco sui suoi vestiti o sopra le scarpe e forse direi: vai a pulirti prima di salirmi in braccio. Invece, non vedendoci, non lo vedo come pulito o sporco, bianco o nero, ma sento solo quel bambino come 33 chili d'amore" Ray Charles.

Pamela D'ercole


(Fonti:
Per Beethoven:
www.wikipedia.org/wiki/Ludwing_van_Beethoven
www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/beethoven.htm
http://www.lvbeethoven.com/Bio/Beethoven-Biografia-Cronologia.html
Per Petrucciani:
http://gerovijazz.splinder.com/post/14005682
www.wikipedia.org/wiki/Michel_Petrucciani
http://www.jazzitalia.net/quellaseracon/michelpetrucciani.asp
http://www.jazzitalia.net/recensioni/sowhat.asp
http://60forever.blogspot.com/2006/05/michel-petrucciani.html
http://www.youtube.com/watch?v=a3g7CEAlovA
Per Jim Morrison:
http://it.wikipedia.org/wiki/Jim_Morrison
"Jim Morrison, vita, morte, leggenda" biografia a cura di Stephen Davis edito nel 2004, Mondadori
Poesie tratte da "Tempesta Elettrica, poesie e scritti perduti di Jim Morrison" a cura di Riccardo Bertoncelli, 2001, Mondadori
Brano della canzone da "The Ghost Song" tratto dall'album "An American Prayer" pubblicato nel 1978 dalla Elektra Records
Per Ray Charles:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ray_Charles
http://italy.real.com/music/artist/Ray_Charles/
"Georgia On My Mind" disco pubblicato nel 2000
"Ray" film di Taylor Hackford uscito nel 2004

martedì 31 marzo 2009

L'incontro con la fiaba



L'incontro con la fiaba

L'incontro con la fiaba è molto emozionante perché entra in gioco la capacità di spaziare con la fantasia e soprattutto perché ad entrarvi in contatto sono specialmente bambini dai 3 ai 10 anni. In questo arco di tempo il processo evolutivo è molto rapido perché cambiano i desideri e le aspettative e lo sviluppo cognitivo e relazionale. Le fiabe hanno molta importanza in quanto dentro di esse c'è tutta la storia dell'umanità. Molti si sono interessati dell'analisi della fiaba ed uno di questi è V. J. Propp il quale si rese conto che la fiaba è una struttura perfetta del prodotto letterario. Egli parla di circa 30 casi frequenti in ogni fiaba provenienti da tutto il mondo e con storie diverse.È per esempio presente in ogni fiaba la lotta tra il bene ed il male: vi è sempre presente il personaggio protagonista che riesce a sconfiggere le azioni negative dell'antagonista. E sono sempre presenti gli aiutanti che aiutano il protagonista nella lotta per il bene. Cosa importante c'è sempre il lieto fine. Ci si chiede spesso il perché ci sia sempre un lieto fine e la risposta è che le fiabe sono iniezioni di ottimismo che aiutano il bambino ad affrontare gli eventi positivi e negativi. I racconti sono una parte di vita di tutti i giorni e grazie alla fiaba il bambino si sente "più sicuro" nell'affrontare gli eventi.Un altro autore che si interessa di fiabe per bambini è Bettelheim. Molti genitori credono che al bambino dovrebbero essere presentate soltanto la realtà conscia o immagini piacevoli e capaci di andare incontro ai suoi desideri ma questa teoria risulterebbe inutile in quanto la vita reale non è tutta rose e fiori. Il messaggio che Bettelheim manda ai bambini è questo ""una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso"I personaggi delle fiabe non sono ambivalenti: non buoni e cattivi nello stesso tempo, come tutti noi siamo nella realtà. Ma dato che la polarizzazione domina la mente del bambino, domina anche nelle fiabe. Una persona è buona o è cattiva, mai entrambe le cose.La presentazione della polarità permette al bambino di comprendere la differenza fra le due cose. Il bambino si identifica nel personaggio dell'eroe non a motivo della sua bontà ma perché la condizione dell'eroe esercita un forte richiamo positivo su di lui. Il succo di queste fiabe non è la morale ma la fiducia di poter riuscire. La vita può essere affrontata con la fiducia di poter superare le sue difficoltà o con la prospettiva della sconfitta. Il classico finale: "E vissero felici per sempre" non fa credere per un solo istante al bambino che la vita eterna sia possibile. Essa indica però qual è l'unica cosa che può farci sopportare i limiti del nostro tempo su questa terra: la formazione di un legame veramente soddisfacente con un'altra persona.Le fiabe insegnano che quando si è arrivato a questo si è arrivato al massimo soddisfacimento emotivo nella vita e soltanto questo può aiutare a superare la paura della morte.La fiaba è orientata verso il futuro e guida il bambino aiutandolo ad abbandonare i suoi desideri infantili di dipendenza e a raggiungere una più soddisfacente esistenza indipendente.

fonti:
www.studenti.it./appunti/pedagogia/fiaba.com
(Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 13.)
Il significato e le funzioni della fiaba nello sviluppo del bambino. Alessia Ciuffardelli

Elena Arata

il sentimento amoroso


Il sentimento amoroso





Molti poeti si sono occupati dell’amore e uno dei più apprezzati da noi giovani è Pablo Neruda, con la sua raccolta “cento sonetti d’amore” . Il poeta ci dice come la vita sia incerta e contraddittoria: le nostre certezze, le cose che diamo per scontate,si rivelano essere diverse da come le concepiamo. Il silenzio,che per noi è generalmente simbolo di un atteggiamento chiuso e indifferente, può essere anche un modo per comunicare; il fuoco,paradossalmente,può essere freddo. La sua logica si trasmette quindi al sentimento dell'amore. Confessa di amare la sua donna; ciò che prova non è visto come una condizione stabile bensì come l'inizio di un lungo percorso che lo condurrà verso l'infinito, in modo che le emozioni provate non possano mai cessare. Proprio perchè questo cammino non è ancora completo, dice di non amarla con l'intensità con cui vorrebbe. Il poeta riflette anche sui suoi dubbi e sulle sue paure: si sente talvolta vicino, talvolta distante da lei. Non sa se il suo futuro con lei preveda gioia o un destino sfortunato: in ogni caso, nulla potrà alterare il suo amore, che sopravvive in ogni caso.

Saprai che non t’amo e che t’amo, P. Neruda

La parola italiana amore continua l’accusativo amorem del sostantivo latino amor, derivato dal verbo amare, termine antichissimo nel latino che non trova riscontri nelle altre lingue indoeuropee, ad esempio nel greco antico che per lo stesso concetto usa soprattutto eros.

In particolare nella lingua dell’ antica Roma amor si oppone a odium, nel senso di un forte sentimento di affetto per qualcosa o qualcuno, che può giungere fino alla passione. Così il grande poeta Catullo può dettare il celeberrimo epigramma che si avvia su odi et amo cioè odio e allo stesso tempo amo, con specifico riferimento alla passione erotica. L’odio rimane ben nascosto e si manifesta in modo improvviso,lasciando entrambi i partner sbigottiti. Questo è senz’altro il valore prevalente del termine amor in latino, personificato nel dio Amore, chiamato anche Cupido, che si potrebbe tradurre con bramosia amorosa.
L’esperienza amorosa è tra le più significative dell’esperienza umana. L’amore è il desiderio di completezza e perfezione e molto spesso provoca sofferenze psichiche all’anima. L'amore "romantico" ha un significato preciso : quando l'amore fra due esseri umani assume caratteristiche riconducibili al romanticismo, questo viene definito amore romantico, per distinguerlo dal sentimento d'affetto verso i membri di una famiglia o verso altri esseri umani, o anche tra esseri umani e animali domestici. Non ha una definizione, non può averla: l’amore è semplicemete quella sensazione che può mettere in stato di grazia una persona e renderla l’essere più felice del mondo. L’amore è l’amore, e se non lo si prova non si può capire, poiché non lo si può spiegare a parole. Il termine amore viene anche utilizzato per definire l'intensa passione per qualcosa o come forma di dedizione totalizzante a un ideale.

Samanta Lamberti

cos'è la pet-therapy?

Cos'è la pet-therapy?





Con il termine pet-therapy, in italiano zoo terapia, s’intende generalmente una terapia “dolce” basata sull’interazione tra uomo ed animale affermatasi sulla base di studi, come quelli dello psichiatra statunitense Boris Levinson, che hanno dimostrato come l’attività di prendersi cura di un animale possa calmare disturbi come ansia, stress e depressione.
Nel 1960 Levinson è il primo ad enunciare ed applicare teorie riguardo ai benefici che scaturiscono dall’interazione tra uomini ed animali. In seguito nel 1981 viene fondata negli USA la Delta Society, che si occupa di studiare i benefici che l’applicazione di queste “nuove terapie” produce.
Ad oggi gli animali d’affezione sono riconosciuti quali componenti essenziali di un rapporto equilibrato tra l’uomo e l’ambiente di vita; tale principio è stato annunciato e difeso in quella che può essere definita “Dichiarazione di Ginevra” del 1995 riguardo “Animali, salute e qualità della vita”. La pet-therapy trova ora ampia applicazione in svariati settori socio-assistenziali quali: case di riposo, ospedali, comunità di recupero e nel campo di specifiche patologie.

Il termine “PET-THERAPY” indica però una serie complessa di utilizzi del rapporto tra uomo ed animale perciò è necessario distinguere tra:
-Animal-Assistent Activities: cioè attività svolte con l’ausilio di animali, che hanno come obbiettivo primario quello di migliorare la qualità della vita di alcune persone come anziani,ciechi, malati terminali, ecc. Essi sono interventi di tipo educativo e/o ricreativo che sono supportati da professionisti, para-professionisti e volontari con ovviamente l’ausilio di animali che, adeguatamente addestrati, possiedono i requisiti necessari.
-Animal-Assistent Theraphy: che consiste nell’uso terapeutico degli animali da compagnia. Si tratta di vera e propria terapia finalizzata a migliorare le condizioni di salute di un paziente mediante specifici obbiettivi. Essa viene considerata una terapia di supporto che integra, rafforza e coadiuva le terapie normalmente effettuate per il tipo di patologia preso in esame. Gli obbiettivi di questa terapia sono solitamente di tipo: cognitivo (miglioramento di capacità mentali come la memoria), comportamentale (es. acquisizione di regole), psicosociale (miglioramento delle capacità di interazione) o strettamente psicologici (es. superamento di fobie).

La pet-therapy, in generale, garantisce grandi risultati soprattutto su soggetti quali: bambini, anziani e disabili sia fisici che psichici poiché il contatto con un animale può aiutare a soddisfare bisogni, come quelli di affetto, sicurezza e relazioni interpersonali, ed allo stesso tempo contribuisce al recupero di alcune abilità che possono essere state perdute. Anche persone affette da ipertensione o cardiopatiche possono trarre vantaggio dalla vicinanza di un animale poiché è stato dimostrato che accarezzare un animale, oltre ad aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello sviluppo della personalità, interviene anche nella riduzione della pressione arteriosa e contribuisce a regolare la frequenza cardiaca.
Che si tratti di un coniglio, di un cane, di un gatto o di altro animale scelto dai responsabili di programmi di pet thrapy, la sua presenza solitamente risveglia l'interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all'instaurazione di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore.

I gruppi di lavoro che operano in questo settore della pet-therapy finalizzato al raggiungimento di obiettivi di salute per l’uomo, sono composti, oltre che dall’animale co-terapeuta alla cui sensibilità è affidato il compito principale, da diverse figure professionali: medici, psicologi, fisioterapisti ecc.. alle quali spetta di valutare e determinare come l’animale debba essere impiegato. A veterinari, etologi, addestratori e conduttori professionisti spetta, invece, occuparsi del controllo della salute e della salvaguardia del benessere dell’animale che lavora per aiutare l’
uomo, di cui sa riconoscere le difficoltà.

Secondo la Delta Society (organizzazione internazionale che favorisce l'impiego degli animali per il miglioramento dello stato di salute, l'indipendenza e la qualità della vita dell'uomo), solo gli animali domestici possono essere inseriti in programmi di attività e terapie assistite dagli animali, escludendo quindi tutti gli animali selvatici o inselvatichiti, gli animali esotici ed i cuccioli. Tutti gli animali impiegati come Pet partners devono superare una valutazione che ne attesti lo stato sanitario, le capacità e l'attitudine. Il Pet Partner Aptitude test (PPAT) della Delta Society valuta se vi è disposizione e potenziale per partecipare a programmi di questo tipo di terapia.
Gli animali che vengono abitualmente coinvolti nella pet-therapy sono cani, gatti, criceti, conigli, asini, capre, mucche, cavalli, uccelli, pesci, delfini.

1 Il cane ha un rapporto privilegiato con l'uomo sin dalla preistoria e sono frequenti le occasioni in cui possiamo apprezzarne la collaborazione e, talvolta, l'abnegazione. Per questo viene impiegato di frequente quale co-terapeuta, sia nella cura di bambini che di adulti ed anziani attraverso l'invito al gioco, l'offerta di compagnia e la richiesta di interazione.

2 Anche il gatto è utilizzato nella pet-therapy: per la sua indipendenza e facilità di accudimento, lo si preferisce per persone che vivono sole e che, a causa della patologia o dell'età, non sono agevolate negli spostamenti.

3 Criceti e conigli sono diffusi nelle nostre abitazioni: osservare, accarezzare e prendersi cura di questi animaletti può arrecare grande beneficio soprattutto a quei bambini che stanno attraversando una fase difficile nella loro crescita.

4 Il cavallo, attualmente, oltre ad attività sportive o ricreative, viene utilizzato per l'ippoterapia, medica, psicologico-educativa, riabilitativa, che viene praticata generalmente in strutture attrezzate, con il supporto di personale specificatamente preparato ed addestrato. A beneficiare dell'ippoterapia sono soprattutto i bambini autistici, i bambini Down, disabili, persone con problemi motori e comportamentali.

5 Da alcuni esperimenti effettuati su gruppi di anziani, è stato rilevato l'effetto benefico derivante dal prendersi cura abitualmente di uccelli, in particolare pappagalli.

6 E' stato constatato che l'osservazione dei pesci di un acquario può contribuire a ridurre la tachicardia e la tensione muscolare, agendo così da antistress.

7 I delfini occupano un posto privilegiato nelle attività che prevedono terapie con gli animali. L'amicizia tra uomini e delfini è di vecchia data ed il loro utilizzo quali co-terapeuti si è rivelato particolarmente efficace per la depressione ed i disturbi della comunicazione. La delfino-terapia è utile anche per i pazienti autistici che li aiuta, in molti casi, ad uscire, almeno parzialmente dal proprio isolamento.

8 Asini, capre e mucche, animali con i quali esisteva una grande familiarità sino a pochi decenni or sono, ultimamente vengono anche loro utilizzati per la pet-therapy .



Provenzano Erika 5b

Fonti:
-Sito internet del “Ministero della salute e della pubblica istruzione”
-Enciclopedia multimediale: Wikipedia

Il triangolo rosa






Il triangolo rosa

Lo sterminio degli ebrei è il massimo livello raggiunto dall’orrore nazista. Ma, in un contesto più generale, si tratta della punta di quell’iceberg chiamato Olocausto.Perché l’odio e le persecuzioni naziste si abbatterono su chiunque fosse considerato diverso. Diverso dalla pura razza ariana forte e virile come gli ebrei,gli zingari,gli handicappati,i comunisti e gli oppositori politici,le prostitute, gli omosessuali.Le stime ufficiali parlano, infatti, di circa 7000 gay morti nei campi di concentramento. Già da prima dell’avvento del regime hitleriano, la legislazione prussiana era estremamente severa in materia di omosessualità.L’articolo 175 del Codice Penale recitava infatti che “Un atto sessuale innaturale commesso tra persone di sesso maschile o da esseri umani con animali è punibile con la prigione. Può essere imposta la pena accessoria della perdita dei diritti civili”. Quando Hitler salì al potere, mantenne la stessa linea e spiegò anche perché nazismo e omosessualità non potessero essere compatibili. Non era tanto per ragioni etico-morali, bensì perché, secondo la mentalità nazista, l’uomo doveva combattere e la donna generare per garantire la sopravvivenza e la moltiplicazione del popolo tedesco e della razza ariana. L’omosessualità era perciò vista come un sabotaggio alla crescita della nazione tedesca.Si tennero circa 60000 processi per violazione dell’articolo 175 e, purtroppo, da lì ai lager il passo fu molto breve. Nel 1933, infatti, cominciarono le prime deportazioni. I gay internati furono costretti a lavori forzati particolarmente duri e questo essenzialmente per una ragione: nei campi di sterminio, gli omosessuali erano contraddistinti da un triangolo rosa,l’ equivalente della stella di David gialla degli ebreiI nazisti consideravano l’omosessualità come una malattia: pericolosa, vergognosa ma dalla quale era possibile guarire (almeno in alcuni casi) e, sempre secondo la mentalità nazista, attraverso il lavoro duro si sarebbe ottenuta la purificazione.I lavori forzati erano quindi visti come strumento di redenzione degli omosessuali. Quando da altri blocchi dei lager giunsero notizie di rapporti omosessuali tra prigionieri in origine eterosessuali e internati per altre ragioni, i gay vennero completamente isolati per evitare che “contagiassero” gli altri.A nessuno venne in mente che, essendo uomini e donne separati, qualcuno potesse trovare un minimo di sollievo dalla disperazione anche con un rapporto con un altro uomo.Le SS erano convinte che per alcuni gay fosse possibile la redenzione (coloro che si prostituivano esclusivamente per soldi o chi sperimentava la sodomia per vizio e non per reale convinzione), per altri no, coloro che erano considerati omosessuali per inclinazione innata o i transessuali.Dopo i lavori forzati, vennero fatti “esperimenti” per verificare la “guarigione dal vizio”: gli omosessuali dovevano essere avvicinati da prostitute con il compito di sedurli.I cosiddetti guariti avrebbero approfittato della situazione, gli irrecuperabili le avrebbero respinti. Alcuni effettivamente cedettero alle avances di queste donne, ma probabilmente più per evitare le vendette delle SS che per desiderio sessuale.Vennero condotti anche esperimenti medici sugli omosessuali: a molti di loro vennero somministrati ormoni maschili in dosi abnormi per “guarirli”.Come prevedibile, nessuno di essi presentò, dopo la cura, desiderio per il sesso femminile, anzi, molti di loro morirono per i gravissimi effetti collaterali.A differenza degli altri prigionieri, il loro calvario non terminò con la liberazione dei campi di concentramento da parte degli alleati.Gli angloamericani, infatti, considerarono i gay alla stregua dei criminali comuni e molti di loro dovettero trascorrere periodi più o meno lunghi in carcere prima di riacquistare la libertà.


Vanessa Tomasello

Vita reale e teatro

Vita reale e teatro
Due mondi apparentemente lontani ma così vicini e simili


La vita “reale” e l’”illusione” del teatro hanno in comune alcuni processi psicofisiologici fondamentali quali atteggiamenti posturali, voce, linguaggio, interazione comunicativa,e si differenziano per altri, non meno importanti, come identità, identificazione e immaginazione.
Probabilmente, non a caso, la parola <>, nel suo significato originale greco, voleva dire <>. Questo sta a simboleggiare ed a riconoscere il fatto che ognuno, sempre e comunque, più o meno coscientemente, reciti una parte ed impersoni un ruolo tramite il quale gli altri e noi stessi ci possiamo riconoscere.
Questa maschera rappresenta il nostro vero <>.
A seconda dell’ambiente o “setting” in cui una persona si viene a trovare, questa maschera cambia, il ruolo da ricoprire r quindi l’immagine che si vuol dare di noi al mondo esterno muta.
Esistono vari tipi di ruoli da interpretare e vari modi per farlo.
Ognuno ha in se maschere differenti, che utilizza a seconda dell’ambiente e del luogo in cui si trova.
Questo concetto viene ampiamente sviluppato ed analizzato da Luigi Pirandello, scrittore siciliano del Novecento.
Nel suo celebre libro “Uno, Nessuno, Centomila”, Pirandello sottolinea come l’uomo, distaccandosi dall’universo, assume una forma individuale entro cui si costringe, appunto una maschera, con la quale si presenta a se stesso. Nella società però, esistono anche le forme che ogni “io” vuole dare a tutti gli altri. In questa moltiplicazione l’io perde la sua individualità, da <> diviene <> quindi <>.
Questa concezione, in cui l’uomo sta recitando una o più parti, di cui il grande palcoscenico è la vita reale, è chiamata nelle scienze sociali Approccio Drammaturgico.
Il fondatore di questa teoria è Erving Goffman, antropologo e sociologo canadese contemporaneo e autore di molti libri di successo tra cui “La vita quotidiana come rappresentazione” in cui affronta e spiega questa sua teoria.
Goffman sostiene che i rapporti inter-personali, quelli faccia a faccia, somigliano molto a rappresentazioni teatrali.
Quando due o più persone si incontrano, queste si preoccupano delle impressioni che possono fare sugli altri, proprio come fanno gli attori nei riguardi del pubblico.
Nella vita reale però esiste un palcoscenico, dove ognuno appunto recita, ed un retroscena, dove ciascuno può rilassarsi ed abbandonare battute e la maschera del personaggio.
Secondo Goffman la teatralità è qualcosa che fa parte da sempre dell’uomo, è qualcosa di fondamentale nella sua stessa natura.
Oggi, al contrario, studi più approfonditi sul linguaggio non verbale, tramite il quale le persone comunicano e “recitano”, vengono utilizzati dagli attori per meglio rappresentare ed immedesimarsi nel ruolo da interpretare.
Si sta infatti sviluppando il Teatro come “pratica di vita”, un laboratorio teatrale in cui si ha il cambiamento sia in termini di trasformazione di abilità corporee, vocali, immaginative, sia in termini di processo creativo e trasformativo della personalità dell’attore.
Questo sta a sottolineare come nessun’altra situazione, come quella della finzione teatrale, permette la totale scomposizione e ricompensazione delle singole parti dell’io. I fenomeni psicofisiologici determinano la struttura stessa del corpo, che a sua volta diventa parte della struttura dell’Io e si trasforma, da semplice unità psicobiologia, in un complesso strumento espressivo e comunicativo.


Giorgia Caprarulo
Testi di riferimento:
-Uno, nessuno, centomila Luigi Pirandello
-La vita quotidiana come rappresentazione Erving Goffman
-Sociologia in azione Adele Bianchi, Parisio Di Giovanni
-Wikipedia, Teatro come “pratica di vita”