L’esperienza artistica
Edward Munch
Edward Munch
E’ l’esponente della secessione di Berlino, il quale anticiperà la corrente artistica che di fatto segna la nascita delle avanguardie del 900, l’Espressionismo.
Munch nasce a Loten, in Norvegia, il 12 dicembre del 1863. Nel 1868 muore la madre di tubercolosi. Nel 1877 anche la sorella muore dello stesso male a soli quindici anni. Sono i primi dei molti, precoci appuntamenti con la malattia e con la morte che costelleranno tutta l’esistenza dell’artista, influendo in modo certo non secondario anche sulla maturazione di un pensiero fortemente negativo.
“Senza paura e senza malattia”, scriverà in seguito l’artista,”la mia vita sarebbe una barca senza remi”, volendo con ciò significare quanto la visione tragica della realtà sia un ingrediente fondamentale non solo della pittura, ma del suo stesso essere.
Muore poco dopo, il 23 Gennaio 1944 nella sua proprietà, presso Oslo.
Con la sua pittura intende quindi “esprimere” il sentimento individuale piuttosto che rappresentare oggettivamente la realtà, tanto che quest’ultima viene deformata volutamente, a favore di una realtà che è propria dell’autore;infatti non riproduce l’oggetto così come appare, ma come lo sente, proiettando in esso la propria interiorità:” Non dipingo mai ciò che vedo, ma ciò che ho visto”.
La morte della madre e della sorella, le frequenti crisi depressive, l’inquietudine interiore, costituiscono l’unico possibile quadro di riferimento all’interno del quale leggere lo sviluppo artistico di Munch. In particolare, centro dell’interesse di Munch è quindi l’uomo, e il dramma del suo esistere di fronte a tutto ciò che lo circonda, come paure e conflitti tipici. Lo conferma una delle sue opere più note, “il Grido”
(1893).
Dal titolo si può constatare che non indica qualcosa che sta accadendo(un uomo che urla), ma indica proprio la condizione interiore che si manifesta attraverso l’urlo.Il senso profondo del dipinto lo troviamo descritto dall’artista stesso in alcune pagine di un suo diario:
“Camminavo lungo la strada con due amici- quando il sole tramontò- il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue- mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto- sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e linee di fuoco- i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura- e sentivo che un grande urlo infinito che pervadeva la natura”.
La scena è ricca di riferimenti simbolici. L’uomo in primo piano esprime il dramma collettivo dell’umanità intera. Il ponte richiama i mille ostacoli che ciascuno di noi deve superare nella propria esistenza, mentre i presunti “amici” rappresentano la falsità dei rapporti umani.
L’uomo che leva, alto e inascoltato, il suo urlo, è un essere serpentinato, quasi senza scheletro, fatto della stessa materia filamentosa con cui sono realizzati il cielo infuocato o il mare oleoso.
Al posto della testa vi è un’enorme cranio repellente, senza capelli, come di un sopravissuto a una catastrofe atomica. Gli occhi sbarrati sembrano aver visto un abominio immondo, le labbra nere rimandano alla putrescenza dei cadaveri.
E’ un grido istintivo, primordiale, che esprime non tanto le esperienze specifiche di smarrimento o di paure, quanto il sentimento dell’angoscia come espressione del nulla che minaccia l’esistenza dell’uomo. Nell’opera si nota il dramma, attraverso la prospettiva tesa e obliqua, data dagli urti cromatici, dalle mani della figura rappresentata in primo piano.
Da quanto detto fino ad ora, parrebbe che non vi possano essere risoluzioni all’esperienza dell’angoscia, dato che questa esprime la percezione di un modo di essere connaturato all’uomo, quello della paura del nulla che minaccia l’esistenza.
Si potrebbe tuttavia ipotizzare, guardando l’esperienza artistica di Munch, che la risoluzione dell’angoscia troverebbe realizzazione in un’esperienza di vita creativa, come quella dell’artista, dato che il pittore norvegese, sembra aver superato momenti difficili della sua vita, che ne avevano accentuato l’angoscia esistenziale, proprio grazie alla sua attività.
Munch nasce a Loten, in Norvegia, il 12 dicembre del 1863. Nel 1868 muore la madre di tubercolosi. Nel 1877 anche la sorella muore dello stesso male a soli quindici anni. Sono i primi dei molti, precoci appuntamenti con la malattia e con la morte che costelleranno tutta l’esistenza dell’artista, influendo in modo certo non secondario anche sulla maturazione di un pensiero fortemente negativo.
“Senza paura e senza malattia”, scriverà in seguito l’artista,”la mia vita sarebbe una barca senza remi”, volendo con ciò significare quanto la visione tragica della realtà sia un ingrediente fondamentale non solo della pittura, ma del suo stesso essere.
Muore poco dopo, il 23 Gennaio 1944 nella sua proprietà, presso Oslo.
Con la sua pittura intende quindi “esprimere” il sentimento individuale piuttosto che rappresentare oggettivamente la realtà, tanto che quest’ultima viene deformata volutamente, a favore di una realtà che è propria dell’autore;infatti non riproduce l’oggetto così come appare, ma come lo sente, proiettando in esso la propria interiorità:” Non dipingo mai ciò che vedo, ma ciò che ho visto”.
La morte della madre e della sorella, le frequenti crisi depressive, l’inquietudine interiore, costituiscono l’unico possibile quadro di riferimento all’interno del quale leggere lo sviluppo artistico di Munch. In particolare, centro dell’interesse di Munch è quindi l’uomo, e il dramma del suo esistere di fronte a tutto ciò che lo circonda, come paure e conflitti tipici. Lo conferma una delle sue opere più note, “il Grido”
(1893).
Dal titolo si può constatare che non indica qualcosa che sta accadendo(un uomo che urla), ma indica proprio la condizione interiore che si manifesta attraverso l’urlo.Il senso profondo del dipinto lo troviamo descritto dall’artista stesso in alcune pagine di un suo diario:
“Camminavo lungo la strada con due amici- quando il sole tramontò- il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue- mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto- sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e linee di fuoco- i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura- e sentivo che un grande urlo infinito che pervadeva la natura”.
La scena è ricca di riferimenti simbolici. L’uomo in primo piano esprime il dramma collettivo dell’umanità intera. Il ponte richiama i mille ostacoli che ciascuno di noi deve superare nella propria esistenza, mentre i presunti “amici” rappresentano la falsità dei rapporti umani.
L’uomo che leva, alto e inascoltato, il suo urlo, è un essere serpentinato, quasi senza scheletro, fatto della stessa materia filamentosa con cui sono realizzati il cielo infuocato o il mare oleoso.
Al posto della testa vi è un’enorme cranio repellente, senza capelli, come di un sopravissuto a una catastrofe atomica. Gli occhi sbarrati sembrano aver visto un abominio immondo, le labbra nere rimandano alla putrescenza dei cadaveri.
E’ un grido istintivo, primordiale, che esprime non tanto le esperienze specifiche di smarrimento o di paure, quanto il sentimento dell’angoscia come espressione del nulla che minaccia l’esistenza dell’uomo. Nell’opera si nota il dramma, attraverso la prospettiva tesa e obliqua, data dagli urti cromatici, dalle mani della figura rappresentata in primo piano.
Da quanto detto fino ad ora, parrebbe che non vi possano essere risoluzioni all’esperienza dell’angoscia, dato che questa esprime la percezione di un modo di essere connaturato all’uomo, quello della paura del nulla che minaccia l’esistenza.
Si potrebbe tuttavia ipotizzare, guardando l’esperienza artistica di Munch, che la risoluzione dell’angoscia troverebbe realizzazione in un’esperienza di vita creativa, come quella dell’artista, dato che il pittore norvegese, sembra aver superato momenti difficili della sua vita, che ne avevano accentuato l’angoscia esistenziale, proprio grazie alla sua attività.
Cristina Facchini
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